Dall’Officina di sabato 28 Aprile ecco l’Introduzione al Blu realizzata da Giuseppina Catone:

“Dolce color d’oriental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e il petto.
Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto ridere l’oriente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta”.

                                            (Purgatorio, I 13-21)

Non ci sono parole più belle di queste, più complete nel senso e nel suono, per specificare tutta la pregnanza di questo colore: lo zaffiro orientale, che, insieme al lapislazzuli, è l’emblema del blu, è circondato da una preziosa ricercatezza sin dall’antichità. E’ pietra rara e costosa, perché proviene da un oriente favoleggiato, perché ha la trasparenza del cielo e del mare, perché è difficile riprodurne il colore. Anche l’altra pietra, il lapislazzuli, è circondata dalla stessa aura: è venato d’oro, possiede un colore profondo, il colore del cielo a una cert’ora della sera, il colore del mare scuro, picchiettato di scaglie di luce. E questo zaffiro, questo splendore che si allarga nel cieloe che ci fa annegare in lui, non produce smarrimento o paura, non noia, solo attrazione, dolcezza, serenità e purezza: dolce, sereno, puro colore che determina diletto, conforto, sorriso dell’anima. Tutto contribuisce ad alleggerire il tono ed a farci volare nel sereno azzurro di quella mattina sul monte del Purgatorio.
E’ proprio questa la sensazione che io provo davanti a questo colore, per questo amo il blu, che reputo il colore più bello, quello che ci lascia senza fiato, che ci sommerge nella sua luce, quando è bagliore, mare o cielo, e che ci trasmette serenità.
Per quanto ci sforziamo non riusciamo a trovare un elemento negativo in questo colore, forse perché si è stratificata in noi una tradizione ormai secolare, che risale al Medioevo, che ha connotato il blu di un tono sacrale, assegnandolo al manto della Vergine Maria e conferendogli priorità sugli altri colori.

Forse bisognerebbe andare a ritroso nel tempo, nel mondo classico greco e romano, per trovare indifferenza nei confronti del blu: un’indifferenza che si spiega già con il fatto che non esiste presso questi popoli un termine preciso per indicare il blu. Il lessico è vago e indistinto, tanto da far credere che gli antichi non avessero percezione fisica di questo colore: glaukos, ad esempio, comprendeva una vasta gamma di sfumature, che andavano dal blu, al verde, al miele, al grigio; caeruleus, indica dapprima la cera con le sue tonalità, poi le sfumature del verde, solo infine le varie sfumature del blu. In realtà quello che mancava era un riconoscimento politico-sociale adeguato, un’attribuzione di ruolo al blu, un apprezzamento estetico. I colori della regalità, ad esempio, erano ancora la porpora e l’oro, il blu era il colore barbaro dei Celti e dei Germani. Si usava questo colore solo nei mosaici, che hanno origine orientale e che poi sono trasmigrati direttamente nell’arte bizantina,  con il loro patrimonio di blu.
Ecco spiegato il motivo per cui oggi le due parole che indicano questo colore, blu e azzurro, sono di origine germanica la prima (blavus da blau), di origine araba la seconda (azureus da lazaward).

Il Medioevo rivalutò il blu, in particolar modo a partire dal XII secolo, anche grazie al ruolo svolto da alcuni prelati costruttori: tra questi il più importante, ai fini del nostro discorso, è Suger, che tra il 1130 e il 1140 fece ricostruire la chiesa abbaziale di Saint-Denis, conferendo al colore un ruolo di primo piano nell’opera. Infatti egli riteneva che luce, bellezza e ricchezza, necessarie per venerare Dio, si esprimono in primo luogo con i colori: e il blu è luce, luce divina, luce celeste in cui si trova inscritto il creato. In questo periodo accade il processo per cui questo colore viene sempre di più assimilato alla Vergine: tutta l’arte figurativa da ora in poi è piena di immagini di Vergini Annunciate o Madonne con Bambino, il cui manto è luminosamente blu. Il manto della Madonna avvolge il mondo come un cielo e lo protegge abbracciandolo, anche Cristo comincia ad essere raffigurato con vesti azzurre, simbolo di regalità e sacralità. Nel Medioevo, infatti, il blu era diventato anche il simbolo del re di Francia, oltre che del leggendario re Artù.

In questo senso il nostro colore è sempre più in rivalità con il rosso e, col tempo, comincia a prenderne il posto ed a sostituirsi a quest’ultimo specialmente in presenza dell’oro. Oro e azzurro richiamano l’infinito, la volta celeste trapunta di stelle, un qualcosa di vago ed indefinito, che solo la sensibilità romantica riuscirà a definire: “Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea / tornar ancor per uso a contemplarvi / sul paterno giardino scintillanti…/…E che pensieri immensi, / che dolci sogni mi spirò la vista  / di quel lontano mar, quei monti azzurri; / che di qua scopro, e che varcare un giorno / io mi pensava, arcani mondi, arcana / felicità fingendo al viver mio!”
Così Leopardi: ma chi non si è sentito trasportare sulla scia di questi e di altri suoi versi in una particolare atmosfera di quiete e di languore? Questo è l’azzurro romantico, quello che fa da contrasto ai tumulti dell’animo, alle passioni, al vorticoso scorrere della vita e degli eventi.
Il blu è un colore romantico non solo perché alimenta suggestioni emotive legate alla sfera dei sentimenti, ma anche perché a partire dal Werther di Goethe diventa un colore alla moda: il personaggio del romanzo, infatti, è rappresentato vestito di un abito blu abbinato a pantaloni gialli. La gioventù romantica ne fece il proprio emblema e quel colore, forse per la prima volta, assunse un carattere generazionale.
Già, carattere generazionale! Come i jeans, i blue jeans! Quel colore anche per la mia generazione è stato un simbolo, un’ immagine fortemente carica di libertà: la libertà di essere giovani e di distinguersi provocatoriamente dagli adulti, da un mondo stereotipato e obbligato da vincoli sociali, che con i blue jeans si voleva esorcizzare. Ricordo molto bene i primi negozi di jeans, ricordo le resistenze all’acquisto che i grandi facevano considerandoli poco eleganti e perbene.

Ma come il blu era stato due secoli prima scelto dai rivoluzionari francesi che l’avevano posto sulla loro bandiera indicando la libertà, così per i giovani degli anni ’60 e ‘ 70, il blu, attaccato ai pantaloni di tela rigida, diventa una bandiera di libertà contro le ipocrisie, in nome della fratellanza e della pace. Ed allora il blu diventa il colore della pace: la bandiera delle Nazioni Unite, i suoi Caschi Blu, il tentativo di opporsi alle guerre in nome di una comune volontà di pace. E il blu torna ad essere un colore da sogno: ma non è un sogno vago ed indistinto la pace? E la libertà non è pur essa un ideale, un miraggio? E i miraggi non hanno tutti il colore del mare? Sotto le onde viveva una fata che con il suo carro attraversava l’azzurro creando immagini per gli uomini, che in quella limpida e serena frazione di un attimo vedevano e sognavano: “Ho sognato stanotte una piana striata d’una freschezza / In veli varianti d’azzurr’oro alga” “Col mare mi sono fatto una bara di freschezza” “Nel molle giro di un sorriso / ci sentiamo legare da un turbine / di germogli di desiderio / Ci vendemmia il sole / Chiudiamo gli occhi / per vedere nuotare in un lago / infinite promesse / Ci rinveniamo a marcare la terra / con questo corpo / che ora troppo ci pesa”.

Anche la giovinezza è un miraggio blu: più del verde, simbolo di nascita e fioritura, nel colore azzurro si vede esplodere la giovinezza sorridente e gaia, si riconosce la perfetta rispondenza tra le creature e il cielo, e tra questo e il mare sottostante. E’ come un arco, una curva che abbraccia il mondo (torniamo alla simbologia del manto della Vergine?). Leggiamo il testo di una insolita poesia scritta da un poeta americano dei primi del ‘900:  

Ruotando le azzurre gonne lungo l’aiuola
E sotto le torrette del vostro collegio
Vi dirigete a udire il noioso ed egregio
Maestro senza credergli una sola parola.

Ora in bianchi nastri i capelli serrate
E di quel che avverrà non curatevi più
Di quanto se ne curano quegli uccelli blu
Che chiacchierano in aria, passeggiano per terra.

Esercitate, azzurre ragazze, la vostra bellezza
In tempo, io con forti labbra ne griderò il valore
Che nessuno di noi saprà mai nel suo fiore
Fermare, tanta è la sua fralezza.

Io vi racconterò una storia tutta vera:
Conosco una signora dalla lingua pungente
I cui occhi ora torbidi erano d’un lucente
Azzurro…Essa non tanto addietro era
Anche più bella e cara di ciascuna di voi.

Se il blu è un colore giovane e libero, se ha conquistato un posto di rilievo nel cuore degli uomini di oggi, se regola il gusto imponendosi tra gli altri colori, tuttavia non ha perso la connotazione romantica, triste e malinconica, che l’Ottocento gli aveva assegnato. Ciò, a sorpresa, si ritrova in una parola, una parolina inglese usata in un ambito non coloristico, un termine che definisce uno stile musicale: blues. Il blues è l’antesignano del jazz, è una musica triste, lenta e malinconica, nata nell’ ambiente degli afro-americani nei primi decenni del ‘900.
Chi non ha presenti quei suoni, dolci e modulati da voci e da strumenti che ne accentuano il tono triste? E’ questo un tornare a quel sentimento del vago e dell’indefinito, che ci attrae anche se ci mette tristezza, che ci spaura il core, che ci fa naufragare dolcemente in un mare di sensazioni, di ricordi, di sogni e di promesse? Il blu per me non è altro che questo, ma è anche più di tutto questo: quando sono sdraiata sulla spiaggia in estate, quando guardo il cielo sereno, sento che in quel colore si specchia l’ armonia del creato e quel misto di allegria e di tristezza che è componente vitale di ogni essere umano.