REPORT OFFICINA GENNAIO 2007
a cura di Franca CRUCITTI

27  Gennaio 2007,  ore 9.30: siamo pronti per “disquisire” sul giallo, sorridenti e gioiosi più del solito, anche Tita appare  più  radiosa, avvolta  in una  sciarpa  giallo oro che ci riporta col pensiero alle icone bizantine il cui giallo, come dice Antonio Spadaro, “dà luce, chiama verso l’infinito ed evoca l’eternità”.
Il giallo è radiosità, splendore in molti aspetti della natura e della creazione artistica.
Ciò che maggiormente colpisce nella vaghezza del mondo floreale sono i colori nei quali  la natura si è rivelata un’impareggiabile creatrice di vere sinfonie cromatiche.
Mentre nelle piante, in genere, il verde è il colore predominante, è stato calcolato che, in media, su cento fiori delle comuni piante dei nostri paesi, 33 sono bianchi, 28 gialli, 20 rossi, 9 azzurri , 8 violetti e 2 colore bruno.
Quindi il giallo è il colore dominante dopo il bianco.
La nostra ricerca sul giallo ha prodotto non solo bellissimi esempi artistici, ma anche la storia e le leggende sul giallo, nonché l’aspetto psicologico secondo cui il giallo, colore caldo come il rosso e l’arancione, ha un’azione stimolante. Usato negli ambienti favorisce la vitalità, dà allegria, luce e spaziosità, va bene per una persona apatica perché “stimola l’emisfero sinistro del cervello, sede dell’ intelligenza e dell’apprendimento: con questo colore si sono ottenuti ottimi risultati sulle persone con problemi  di concentrazione e svogliatezza nelle attività intellettuali”.
Per quanto riguarda la forma geometrica il giallo corrisponde al triangolo, simbolo del pensiero.

Giuseppina Catone, sempre in pieno equilibrio tra ragione e sentimento, ci racconta una storia sulla nascita del sole e della luna:
 
Anticamente i Boscimani vivevano al freddo e al buio, tanto buio che non riuscivano mai a raccogliere il riso per farsi da mangiare, né potevano andare a caccia in cerca di gazzelle. Il Sole non stava in cielo ma abitava nel loro villaggio e aveva un’ascella luminosa. Proprio così, sotto il braccio c’era una luce, la luce che avrebbe potuto illuminare il mondo. Ma finché il vecchio Sole se ne stava sulla terra, la sua ascella rischiarava solamente il cortile di casa sua. Sul resto del paese pareva che il cielo fosse stato coperto da neri nuvoloni.
Un giorno una vecchia madre mandò i suoi bambini a sollevare Sole in modo che potesse mandare dall’alto la luce per tutti quanti.
– Però, bambini – disse la vecchia donna dalla testa bianca, – dovete aspettare che Sole si sia coricato per dormire, lui che ci fa stare così al freddo. Allora avvicinatevi cautamente e poi, prendendolo tutti insieme, alzatelo e buttatelo in cielo.
I bambini fecero come era stato loro ordinato, aspettarono che fosse sprofondato nel sonno e, malgrado bruciasse a toccarlo, lo presero e lo scaraventarono in alto. – O nonno Sole, tu devi resistere – gridarono – devi proprio resistere e andare avanti nel cielo, resisti mentre sei così caldo, splendi dappertutto e porta via il buio!
E così egli fece, diventò tondo e non fu mai più un uomo. Quando Sole tramontava, però, tornava il buio, ma Mantide aveva gettato in alto una sua scarpa, che diventò la Luna: essa rischiarava un po’ la notte. Sole la scacciava quando in cielo c’era lui, e perciò Luna gli stava ben lontana. Sole è sempre tondo mentre la sua compagna cambia forma ogni mese perché ogni tanto lei vuole raggiungerlo e Sole la taglia con un coltello, una fetta per volta, facendola diventare sempre più sottile. Luna dice: – Lasciami almeno la mia spina dorsale per i bambini! – Sole la accontenta e una piccola falce le rimane sempre. Tutta dolorante, se ne va piano piano a casa e da quella piccola spina dorsale torna di nuovo in vita. Diventa una nuova Luna, cresce, mette su pancia e riprende il cammino tra le stelle.

Franca Crucitti, coordinatrice di questa Officina, racconta la Storia del giallo. Nell’antichità era molto apprezzato: ai Romani, per esempio, piaceva indossare indumenti di questo colore durante le cerimonie e i matrimoni.
In Oriente e nell’America del Sud il giallo è stato sempre considerato positivamente: in Asia è stato associato al potere, alla ricchezza e anche alla saggezza, in Cina fu a lungo il colore riservato all’imperatore. In Occidente, invece, il giallo ha assunto nel tempo un carattere negativo. L’antropologo Michel Pastoureau sostiene che, a partire dal medioevo, la concorrenza sleale dell’oro ha creato l’infamia del giallo che da simbolo positivo che  splende, brilla, illumina, ha assunto un carattere negativo di colore spento, triste, quello che ricorda l’autunno, il declino, la malattia e , ancor peggio, si è trasformato in simbolo di tradimento, di inganno, di menzogna. Nella iconografia medievale, infatti, i personaggi spregevoli sono spesso rappresentati con indumenti gialli: il traditore Gano viene descritto vestito di giallo, anche Giuda viene dipinto con una veste gialla.

Vittoria Mallamaci ricorda la descrizione di alcune caratteristiche della peste nelle pagine dei Promessi Sposi di Alessandro MANZONI:

Erano tutti visi gialli, distrutti , con certi occhi incantati, abbacinati e con le labbra spenzolate

e Maria Bambace  accosta  ai Promessi Sposi i  famosi versi di Lucrezio:

Sottili sputi rari, tinti del colore del croco e acri
a stento espulsi da colpi di tosse rauca
.

Vittoria aggiunge anche un’immagine significativa tratta da Il Gattopardo di Giuseppe TOMASI DI LAMPEDUSA:

Intorno ondeggiava la campagna funerea, gialla di stoppie, nera di restuccia bruciata.

Si vede bene in questi esempi come il giallo da colore solare che evoca luce, vitalità piena, sia diventato simbolo di malattia e di morte. Ma questa è storia del “mondo” e, dato il suo carattere di precarietà, come tutte le cose umane, è destinata allo svanire e al suo decadimento. Il giallo avrà ancora il suo valore e la sua funzione positiva perché è il colore che evoca il sole, la luce, il calore e quindi la vita. E’ con questi significati che il girasole viene adottato come simbolo ornamentale e di frequente rappresentato su stoffe, inciso su metalli e forgiato nel legno soprattutto in età vittoriana e all’epoca del Re Sole. Oscar Wilde lo adoperò come simbolo del movimento estetico da lui fondato, mentre nel Novecento il fiore del girasole è stato usato in molte espressioni artistiche, nei componimenti di alcuni poeti, come Montale, e di romanzieri famosi.
Franca ricorda il pittore che maggiormente fu suggestionato dal potere evocativo del girasole, Van GOGH: nei  suoi dipinti il colore nelle varie sfumature del giallo produce un eccezionale effetto luminoso che esprime un anelito spirituale profondo.
Sicuramente nel momento in cui creava quest’opera l’artista  avvertiva l’esigenza di  ritrovare uno stato di serenità per il suo animo tormentato e di armonia con il mondo e gli altri uomini.
Nell’iconografia cristiana (che il pittore conosce bene, perché figlio di un pastore protestante) i girasoli sono sempre legati alla rappresentazione del divino e quindi i girasoli potrebbero rappresentare il referente simbolico di uno stato di tensione verso  l’alto.
Di Van Gogh Franca ricorda anche un famoso dipinto, la Camera da letto, tela del 1888.
A proposito di questo dipinto così scrisse a Gauguin:

Ho fatto, sempre per uso mio, un quadro della mia camera da letto, con i mobili di legno che conoscete. Ebbene, mi ha enormemente divertito fare questo interno senza nulla, con una semplicità alla Seurat. A tinte piatte ma stese grossolanamente, a pieno impasto, i muri di un lilla pallido, il pavimento di un rosso spezzato e stinto, le sedie e il letto giallo cromo, i cuscini e il lenzuolo di un verde limone molto pallido, la coperta rosso sangue, la toeletta arancione, il catino blu, la finestra verde. Avrei voluto esprimere un assoluto riposo con tutti questi toni così diversi, lo vedete, e in cui di bianco non c’è che la piccola nota data dallo specchio con la cornice nera ….

Nel particolare della sedia il predominio del giallo, colore solare caro a Van Gogh, appare più netto.

Nelle poesie di Eugenio MONTALE, pur dominate, soprattutto in Ossi di seppia, dall’arsura e dal paesaggio squallido, spicca il girasole impazzito di luce e teso verso il cielo, come ricordano insieme Giuseppina, Tita e Sara.

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire

di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze

e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Il giallo è anche il colore del ricordo, ci fa notare Giuseppina Catone attraverso questi versi di Salvatore QUASIMODO:

Sovente una riviera
raggia d’astri solenni,
bugni di zolfo sul mio capo
dondolano.

                                                                                   
Tempo d’api: e il miele
è nella mia gola
fresca di suono ancora.
Un corvo, di meriggio gira

su arenarie bige.

Arie dilette: cui quiete di sole
insegna morte, e notte
parole di sabbia, di patria perduta.

Sara Puntillo, sempre calma e serena nelle sue riflessioni, ricorda che il giallo caratterizza i paesaggi di alcuni scrittori siciliani e legge un brano tratto da La Lupa di Giovanni VERGA:

Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era
pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
…Una volta la Lupa si innamorò di un bel ragazzo che era tornato da soldato, e mieteva il fieno con lei nelle chiuse del notaro, ma proprio quel che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto,e provare, fissandolo negli  occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla pianura. Ma colui seguitava a mietere tranquillamente col  naso sui manipoli, e le diceva:”O che avete, gnà Pina? Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto il volo dei grilli, quando il sole batteva a piombo, la Lupa affastellava manipoli su manipoli, e covoni su covoni, senza stancarsi mai,senza rizzarsi un momento sulla vita,senza accostare le labbra al fiasco, pur di stare sempre alle calcagna di Nanni, che mieteva e mieteva, e le domandava di quando in quando:” Che volete, gnà Pina?
Una sera ella glielo disse, mentre gli uomini sonnecchiavano nell’aia, stanchi della lunga giornata, ed i cani uggiolavano per la vasta come il miele. Voglio te!campagna nera:-Te voglio! Che sei bello come il sole, e dolce.

Sara legge anche una pagina tratta da Il  Gattopardo di Giuseppe TOMASI DI LAMPEDUSA:
  
…Adesso erano le undici e per quelle cinque ore non si erano viste che pigre groppe di colline avvampanti di giallo sotto il sole. Il trotto sui percorsi piani si era brevemente alternato alle lunghe lente arrancate delle salite, al passo prudente nelle discese; passo e trotto, del resto, egualmente stemperati dal continuo fluire delle sonagliere che ormai non si percepiva più se non come manifestazione sonora dell’ambiente arroventato. Si erano attraversati paesi dipinti in azzurro tenero, stralunati; su ponti di bizzarra magnificenza si erano valicate fiumare integralmente asciutte; si erano costeggiati disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare. Mai un albero, mai una goccia d’acqua…

Maria Bambace, sempre precisa ed estremamente razionale nelle sue notazioni, a questo proposito ricorda il paesaggio descritto da Niccolò AMMANNITI nel romanzo Io non ho paura:

Quell’anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto, e a metà giugno le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe, pronte per essere raccolte. Ogni cosa era coperta di grano. Le colline, basse, si susseguivano come onde di un oceano dorato. Fino in fondo all’orizzonte grano, cielo, grilli, sole e caldo.

E, muovendosi nella letteratura tra passato e contemporaneità,  ricorda  i capei d’oro a l’aura sparsi di  Francesco PETRARCA ed il croco che risplende in mezzo a un polveroso prato, famoso correlativo oggettivo usato da Eugenio Montale nella lirica Non chiederci  la parola.
Secondo Maria il giallo è luce, espansività e voglia di andare incontro all’altro e ci porta un esempio tratto dal romanzo David Golden di Irene MEMIROVSKJ: il protagonista è un banchiere ebreo che ha fatto fortuna, sfruttato da tutti per i suoi soldi, perfino dalla moglie Gloria che non l’ha mai amato, ed è sempre carica di costosissimi gioielli; egli si illumina soltanto quando vede il volto  radioso della figlia Joyce e ascolta la sua voce:

Sembra oro… pensò con una sensazione di piacere indefinibile. Protese la mano su quei capelli biondi.

In seguito Golder abbandona gli affari e si chiude solo, accudito da un’unica cameriera, al massimo passeggia fra i cedri che gli scorrono davanti, ma lo lasciano indifferente o siede

su una panchina in pieno sole e il giardino macera tranquillo in una luce gialla e trasparente come olio.

Da questo abbandono esce solo quando la –figlia-, costretta a sposare il vecchio Fishl, perché priva di soldi ma desiderosa di fare sempre una vita dispendiosa, lo va a trovare e lo supplica di riprendere gli affari di una volta

Golder sfiorò di nuovo con una sorta di spaurita tenerezza, quella graziosa testa di capelli d’oro

e pur sapendo che Joyce non è sua figlia, riprende gli affari, va in Russia, sottoponendosi a un viaggio lungo e difficoltoso per un cardiopatico, che gli costerà la vita.

Carmela Ferro, nella profondità e intensità di sentimenti che la caratterizza, legge la poesia Sinfonia in giallo in cui il poeta Oscar WILDE utilizza tocchi di giallo a sottolineare il mistero della vita dell’uomo –irrequieto moscerino

Un omnibus sul ponte
passa strisciando come un giallo bruco
e qua e là un passante
emerge,irrequieto moscerino.

Colme di giallo fieno, grosse barche
sono ormeggiate al molo greve d’ombre;
come sciarpa di seta gialla incombe
la densa nebbia sopra il lungo fiume.

Le gialle foglie che già si scolorano
cadono fluttuando dagli olmi del Temple:
ai miei piedi il Tamigi verde pallido
è un’increspata distesa di giada.

Franca Crucitti conclude leggendo una poesia di Arturo ONOFRI, Armonie del mattino alto lucenti, in cui il poeta con uno slancio religioso trasforma i fenomeni della natura in calde immagini che ci riportano alla fonte genuina del bene e ci innalzano sempre più alla conoscenza alta di Dio.
Sono immagini vive e palpitanti espressione di un’interna urgenza spirituale:
        
Armonie del mattino altolucenti!
Lo sparso arcobaleno dei colori
sogna sé lungo il brivido dei venti,
nel grembo delle nuvole e dei fiori,

nel sospiro di un prato
che sembra oro
soffiato.

La luce ascolta il proprio metter ali,
che tramuta crisalidi in farfalle,
e dal buio dei bozzoli invernali
risorge in melodie blu rosse gialle
svegliando sugli steli
mille piccoli cieli.